Il primo passo di avvicinamento al c.d. “welfare aziendale” si ritiene venga identificato nei “buoni pasto”, come canale alternativo alla “indennità di mensa” che, contrariamente allo strumento qui esposto, è una voce aggiuntiva del cedolino che rientra tra i servizi sostitutivi di mensa e che l’azienda può erogare ai propri dipendenti. Rispetto l’indennità di mensa, il buono pasto non viene tassato completamente in capo al dipendente. In questo articolo esporremo in linea generale la natura di questa tipologia di indennità sostitutiva, il suo funzionamento e l’applicazione pratica in ragione del trattamento fiscale e contributivo.

COSA SONO?

L’articolo 2, comma 1, lett. c), DECRETO MISE 122/2017 definisce il buono pasto come: “il documento di legittimazione, anche in forma elettronica (…) che attribuisce, al titolare, ai sensi dell’articolo 2002 del codice civile, il diritto ad ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all’esercizio convenzionato, il mezzo per provare l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione”.

Questi possono essere dati ad oggi a:

– Lavoratori subordinati, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario giornaliero non preveda una pausa per il pasto;

– Chi ha instaurato con il committente un rapporto di collaborazione (esempio co.co.co.).

Le aziende comunque non sono obbligate ad erogarli, a meno che questi non siano espressamente previsti nei contratti collettivi o nella contrattazione di secondo livello o individuale. I buoni pasto rientrano pertanto nella categoria dei cosiddetti fringe benefit concessi dal datore di lavoro. Secondo una sentenza della Cassazione (sentenza n. 22702/2014) il diritto ai buoni sussiste anche nel caso in cui il dipendente abbia terminato il lavoro, ma i tempi di percorrenza non gli permettono di raggiungere l’abitazione entro l’esaurirsi della pausa. I ticket sono utilizzabili esclusivamente dal titolare, non sono cedibili né commercializzabili o convertibili in denaro. Inoltre il Decreto MISE 122/2017 ha stabilito che non possono essere usati più di 8 ticket per volta. Tuttavia una recente nota dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che la tassazione non deve essere applicata neanche se si usano in numero superiore ad 8.

Con un recente interpello l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche per i lavoratori in smart working si applica la tassazione agevolata prevista per i buoni pasto sia cartacei che elettronici (interpello numero 956-2631/2020 Direzione Regionale del Lazio e la più recente Risposta n. 123/2021 emanata dall’Agenzia delle entrate)

L’articolo 4 dello stesso decreto dispone poi che i buoni pasto:

  • consentono al “titolare” di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono (ossia il valore della prestazione indicato sul buono, IVA inclusa);
  • consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società emittente i buoni;
  • sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato (a tempo pieno o parziale), anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che “hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”;
  • non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
  • sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.

I buoni pasto possono essere erogati in diversi formati:

buoni pasto cartacei: voucher cartacei consegnabili direttamente in cassa per nei vari esercizi convenzionati. Vengono dati fisicamente al dipendente e può essere speso per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato per fare la spesa presso i negozi convenzionati. Tutti i negozi seguono regole proprie per accettare i buoni pasto (numero massimo, percentuale di buoni pasto rispetto alla spesa complessiva ecc.); tuttavia il massimo di buoni pasto spesi in unica spesa è 8 come vedremo in seguito.

Il buono cartaceo deve contenere:

-Codice fiscale o ragione sociale del datore e della società emittente;

-Valore del buono (cosiddetto “valore facciale”) espresso in euro;

– Termine di utilizzo;

– Spazio per apporre data di utilizzo, firma del lavoratore / titolare, timbro dell’esercizio convenzionato in cui il buono è stato utilizzato;

– Dicitura che riporta “il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”.

buoni pasto elettronici e digitali: buoni pasto utilizzabili sia tramite tessera elettronica sia da smartphone tramite app (esclusivamente i digitali) disposta per il datore di lavoro in afferenza alla ricarica e monitoraggio, così in capo al dipendente per valutare il residuo. Anche in questo caso quindi il buono pasto elettronico può essere speso dal lavoratore per mangiare presso un ristorante o self-service convenzionato oppure può essere usato per fare la spesa presso i negozi convenzionati. Nel buono elettronico i dati relativi al datore, alla società di emissione e al titolare sono memorizzati direttamente nel supporto utilizzato (la forma comune è quella del tesserino con banda magnetica simile ad un bancomat o carta di credito).

N.B: In materia di assegnazione dei buoni pasto è opportuno considerare che la loro tassazione di favore è legata al riconoscimento degli stessi alla generalità dei dipendenti o a loro categorie omogenee (Circolare Ministero delle Finanze n. 326/E del 23/12/97). In entrambi i casi è consigliabile un apposito accordo aziendale che contenga una sintesi della normativa in materia, le condizioni di utilizzo e il valore del singolo buono, oltre a fornire un’apposita informativa al dipendente all’atto dell’assunzione.

COME FUNZIONANO?

L’utilizzo del buono pasto non differisce a seconda che lo stesso sia in formato cartaceo o elettronico (tranne che per il suo uso). Il ticket è acquistato dal datore di lavoro direttamente dalla società emittente, legittimata all’esercizio di questa attività. Una volta assegnati al dipendente (con eventuale addebito di una quota parte del loro valore se previsto da accordi aziendali) i buoni danno allo stesso (in qualità di titolare) il diritto ad ottenere un servizio di mensa di importo pari al valore del ticket, presso esercizi convenzionati con la società emittente. Possono essere utilizzati (art. 285 del D.P.R. n. 207/2010) durante la giornata lavorativa, anche se domenicale o festiva.

Il pubblico esercizio una volta ricevuti i buoni pasto dal lavoratore:

– dovrà emettere e rilasciare apposito scontrino o ricevuta fiscale;

– fatturerà i buoni ricevuti dai clienti alla società che li ha emessi.

Le caratteristiche del buono pasto differiscono naturalmente a seconda del formato.

Il TRATTAMENTO FISCALE e PREVIDENZIALE IN CAPO AL DIPENDENTE e AL DATORE DI LAVORO

Fiscalmente i buoni pasto, essendo veri e propri compensi (in natura) corrisposti al lavoratore dipendente, devono essere in generale sottoposti a tassazione ai fini dell’Irpef in capo al dipendente.

Tuttavia, i buoni pasto concessi alla generalità/categorie omogenee di dipendenti (se applicato quindi a lavoratori di una certa qualifica o un certo livello) non generano, in capo a loro, reddito imponibile (e di conseguenza contributivo) entro il limite massimo (art. 51, comma 2, lett. c), TUIR):

  • € 4 per ogni giorno effettivamente lavorato se in formato cartaceo
  • € 8 per ogni giorno effettivamente lavorato se in formato elettronico.

Tali limiti sono applicati anche in presenza di personale assunto a tempo parziale ed anche quando l’orario lavorativo non prevede il diritto alla pausa pranzo. Con il decreto n°122/2017 del MISE, la possibilità di acquistare e utilizzare i buoni pasto è stata estesa anche ai soggetti che abbiano instaurato con il datore di lavoro un rapporto di collaborazione “in senso ampio” anche non subordinato.

Il datore di lavoro non dovrà operare nessuna ritenuta contributiva e previdenziale sul valore dei buoni pasto come stabilito dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR, il quale non concorre alla determinazione della retribuzione imponibile ai fini contributivi, come riporta la Circolare INPS n. 15/2022.

Per questo motivo solo l’eventuale maggiore valore sarà pertanto assoggettato a tassazione. L’eventuale concessione dei buoni pasto nei giorni non lavorativi rende gli stessi interamente soggetti a tassazione. Ad ogni modo, anche se soggetto in parte a contributi e tasse, il valore dei buoni pasto, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi (anche aziendali), non è considerato retribuzione.

Esempio  Un lavoratore ha ricevuto  buoni pasto elettronici dal datore di lavoro; del valore di € 10 per ogni giorno effettivamente lavorato; Per il lavoratore soltanto € 2 (giornalieri) sconteranno la tassazione in busta paga ai fini Irpef

In relazione alla cumulabilità dei buoni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il divieto di cumulo oltre il limite di 8 buoni pasto non rileva sotto il profilo fiscale, non incidendo, ai fini Irpef, sui limiti di esenzione dal reddito di lavoro dipendente. Pertanto, la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente (ed assimilato) dei ticket opera, nei limiti di 4/8 € giornalieri, a prescindere dal numero di buoni utilizzati.

Il datore di lavoro è tenuto di conseguenza a verificare i limiti di esenzione, valutando esclusivamente il valore nominale dei buoni erogati.

Alla luce di quanto chiarito, va ricordato che qualora il contribuente si rechi in trasferta la fornitura del  buono pasto in aggiunta al rimborso del vitto, determina la riduzione della franchigia di imposta relativa all’indennità di trasferta, e comporta l’integrale tassazione del predetto ticket.

TRATTAMENTO FISCALE IN CAPO ALLA DITTA INDIVIDUALE o PROFESSIONISTA A P.IVA e SOCIETA’

…disposizioni in comune

L’IVA addebitata dalla società emittente dei buoni pasto con  è, inoltre, detraibile dal titolare di partita IVA in misura integrale, sulla base delle modifiche all’art. 19-bis1, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 633/1972 operate dall’art. 83, comma 28-bis, D.L. n. 112/2008 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133).

…per il lavoratore autonomo e ditta individuale

I titolari di partita IVA senza dipendenti che acquistino i buoni pasto per fruire, attraverso gli stessi, di una prestazione di vitto, possono infatti dedurre, ai fini delle imposte dirette, fino al 75% dei costi per l’acquisto dei buoni medesimi (art. 54 comma 5, TUIR e art. 109, comma 5, TUIR), seppure tale deducibilità, per i titolati di reddito di lavoro autonomo, sia limitata a un importo non superiore al 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.

…per l’azienda SRL

Poiché i buoni pasto rientrano, tra le voci di bilancio, nei costi del personale, essi sono deducibili al 100% per le aziende ai fini IRAP e IRES. La Circolare n. 6/E/2009 dell’Agenzia delle Entrate spiega che la totale deducibilità dipende dalla considerazione che il costo sostenuto dall’azienda riguarda un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande (cfr. Circ. IRDCEC n.9/IR del 27/4/2009).

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